“La società senza dolore Perchè abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite”, pubblicato da Einaudi Stile Libero e tradotto da Simone Aglan – Buttazzi, ci costringerà a pensare!
Una lucidissima analisi politica mostra come e perché la società neoliberista abbia privato “il dolore di qualsiasi possibilità di espressione.”
La negazione della sofferenza porta alla passività, all’incapacità di reagire.
Automi in una “democrazia palliativa”, impariamo a nascondere il malessere.
Crediamo che il disagio sia un evento privato e questa visione distorta genera una drammatica mancanza di reattività.
“Il dolore viene interpretato come un segno di debolezza, qualcosa da nascondere o da eliminare in nome dell’ottimizzazione.”
L’abuso di psicofarmaci è segno di una privatizzazione delle sensazioni creando l’azzeramento dello spirito critico.
Isolarsi significa escludere l’Altro, confinarsi all’interno del proprio Io che si ingigantisce.
“La stanchezza dell’Io è sintomo del soggetto di prestazione narcisistico e sfibrato.
Essa isola gli esseri umani invece di riunirli in un Noi.”
Nel disimparare “l’arte di patire il dolore” perdiamo il contatto con la parte profonda del sè e la capacità di narrarla.
La Cultura si appiattisce in una rappresentazione astratta e asettica, incapace di interpretare il volto della contemporaneità.
Byung – Chul Han percorre le teorie filosofiche e psicologiche, ne spiega le connessioni e le diversità.
Invita a riflettere sulla differenza tra azione e sopravvivenza, sulla mancanza di comunione e di fantasia figlie da uno spietato neoliberismo.
“Il baccano comunicativo perpetua l’inferno dell’Uguale.
Impedisce che avvenga qualcosa di veramente Altro, del tutto incomparabile, mai visto prima.
L’inferno dell’Uguale è una zona di benessere palliativo.”
Ogni capitolo ha un titolo e scandisce un percorso ontologico ed etico: pagine ricche di riferimenti e di occasioni di riflessione.
Interessante l’interpretazione sociologica della pandemia vissuta come isteria della sopravvivenza.
Da leggere per imparare ad accettare le nostre fragilità e urlarle al mondo.