“Sono la danza
Che imparerai
Sono la rupe
Da cui salterai
Sono il respiro dell’amante
Nella mia dolce mano
Ti frantumarai
Nel mio seno
Ti ricomporrai
Conoscerai me
Conoscerai Dio.”
“Akhenaton”, pubblicato da Fandango Libri e tradotto da Maurizio Bartocci, ricostruisce in forma poetica l’esistenza dell’omonimo faraone.
Uomo poliedrico impose il monoteismo, mescolando il culto di Atos alla sublimazione di sè.
Dorothy Porter si stacca dalle poche notizie storiche ed edifica un poema epico molto originale.
Mostra il vero volto del potere egiziano, ne esaspera i lati bui.
“Nell’harem di mio padre
Sdraiato sui pesci di mosaico
Del pavimento
Mentre donne velate (le sue)
Mi fluttuano intorno.”
Versi che nella rappresentazione plastica creano effetti scenici.
Ridondanze linguistiche accompagnate da visioni ancestrali.
Il personaggio alterna vari stereotipi.
È vate di verità che distrugge gli idoli e a sua volta è costruttore di nuove chimere.
“Possiamo andarcene
Dalla tana dell’idolo
Solo per un momento
E fermarci nel Sole?”
Osserva la sua Ombra, se ne compiace, si muove all’interno del Fuoco.
Gioca con la propria invincibilità spezzando ogni somiglianza con la famiglia d’origine.
Alterna disprezzo ad esaltazione, follia a malinconia.
“I dirupi s’inchinano
A noi due
Il deserto dispiega
Un tappeto incastonato
Di pietre roventi.
Non posso guardarlo.”
Sfida dell’Io che vuole varcare le soglie della vulnerabilità, delirio di onnipotenza.
“Al risveglio la mia città
Luccicherà
Lungo il fiume
Come seta bagnata.
Avvolto in essa
Mi intratterrò col mio Dio.”
Tentativo di simbiosi, ricerca della perfezione.
Il testo naviga nelle acque agitate del desiderio, provoca i sensi, regala colori.
Esplicito il rimando alla contemporaneità che incespica davanti al Sacro e prova a ritoccarne i contorni.
Il fuoco e la luce attraggono e impauriscono mentre un grido strozzato risuona nel silenzio:
“Sono stanco
Ecco tutto
Sono esausto.”