“Se ho pianto è perché sono stata al buio
Con un peso capovolto di assenze.
La nave inclinata nella sua rotta,
I sogni non infilati
Più tra le stelle”
I versi che aprono la raccolta poetica “”Quello che non so di me”, pubblicato da InternoPoesia, indicano un percorso intimo, libero, espressivo.
Lacrime come espiazioni e assoluzioni: è tempo di perdonarsi.
L’anima si apre ed è fiore che si offre nello splendore dei suoi colori.
L’istante sa di racchiudere il tempo e in questa percezione non solo semantica si sviluppa il senso di una poesia che partendo dall’Io arriva all’Altro.
La voce a tratti sincopata aiuta a sorreggere stati d’animo che si alternano a guizzi metaforici.
“Ora tutte le donne che sono stata
Sono in silenzio, le chiamo per nome.
Le libero dalle parole e dai suoni
Della mia vita.”
Pura essenza in una costante ricorsa dell’inaccessibile.
Antonietta Gnerre ci regala la spontaneità di una femminilità che nella contemporaneità trova la sua identità.
È Madre “di figli mai nati”, è parte di un mondo che vorrebbe negarsi, è coscienza di un abbandono che accetta le ferite.
La luce è una costante, faro per ritrovare il percorso dei ricordi.
“Vedi, insieme siamo stati
Un qualcosa che è accaduto.
Siamo stati eterni.”
Celebrare l’esistenza, trasformare i fonemi in rituali sacri, imparare a riconoscersi.
Non essere ombra che vaga nelle galassie dell’invisibilità.
Mentre le frasi ci carezzano sentiamo una strana alchimia che ci avvicina alla poetessa e nel suo non sapere si raccolgono i nostri dubbi, le nostre orme stanche.
Grazie per averci permesso di comprendere che bisogna andare oltre i nostri limiti.