“Il silenzio d’estate è quieto e deserto, una quieta e deserta riva: a questa riva giungono le onde di ricordi accavallati e lontani, frammenti di immagini dimenticate, stranamente accostati e sovrapposti tra loro.
Questo indugio tra gli echi, questa vocazione al ricordo, risorgono immutati da un’estate all’altra: la solitudine li porta con sé.”
Milano, anni cinquanta, un’afoso agosto tinge l’aria di sfumature irreali.
Galleggiano le immagini in una nebolosa dapprima confusa, abitata da ombre.
Quando i contorni si fanno più nitidi nelle strade quasi deserte appaiono due donne e una bambina.
“Cecilia e le streghe”, pubblicato da Fandango Libri, narra l’intreccio di queste esistenze in una concatenazione che non rispetta il tempo.
Si oscilla tra la memoria e il presente forse per calibrare il carico immenso che le parole dovranno sostenere.
Si sente che c’è una difficoltà di fondo, viscerare e profonda ad entrare nel vivo nella narrazione.
Perché non sempre frasi, verbi, aggettivi restuiscono la portata di certi sentimenti estremi e dolorosi.
Cecilia ha avuto un responso crudele ed è soggiogata da questa verità che le toglie ogni speranza.
Viene dalla provincia insieme alla sua ragazzina e nell’incedere mostra uno spaesamento che non è solo geografico.
È interiore, come una lama che penetra e sdoppia la personalità, sconfigge la resistenza, crea torpore.
L’altra figura femminile, a pieno titolo coprotagonista e voce narrante, si lascia trascinare dentro questa scia di morte.
Da medico è abituata alla sofferenza ma in questa casuale relazione è la pietas a dilagare.
Rigorosa cerca di tenere in piedi quel che resta della volontà di Cecilia.
Una scrittura poetica, a tratti espressiva, molto suggestiva.
Curato il conflitto interiore che diventa presenza invadente e pericolosa.
“Quella ragazza ignorante, con un solo polmone e con l’addome invaso da metastasi, aveva scoperto da sola l’austera bellezza dello stoicismo.
Il pianto le tremava intorno alla bocca, ma era un pianto trattenuto: più volte l’avevo paragonata, dentro di me, a una creatura di fiaba, oppure a una nobile dama, oppure a un soldato coraggioso; ora scoprivo che non sapeva leggere di filosofia ma tuttavia si poteva paragonare a un filosofo dell’antichità.”
C’è una svolta nella narrazione che si riallaccia alle esperienze politiche della scrittrice, un salto in avanti e forse una rinascita.
Certo non si può fermare la tragica Morte, si può riempire di senso il tempo che resta.
Da leggere per ricordare che “la creatura viva è pur sempre libera, e quindi imprevedibile.”