“Canto la leggerezza della morte che talora vince sulla foga scorticata della vita.
È un dire indicibile, questo canto.”
“Di tu in noi”, pubblicato da La Nave di Teseo, è certezza di un’assenza che si fa presenza.
Ricordo del tempo vissuto insieme.
Parola intinta nelle sfumature del passato.
Presente scandito da “giorni che sono vite intere.”
Bacio, carezza, abbraccio, gestualità da ripercorrere per non dimenticare.
“Ti tengo
Nell’entroterra dell’anima
In un respiro di due sillabe.”
Cettina Caliò si offre con il corpo interpretando il suo dolore.
I versi dedicati al marito, Sergio Claudio Perroni, sono canto sommesso, abbandono alle pulsazioni del cuore.
Non ci sono filtri nè distanze.
È necessario ritrovare la voce dell’altro, resistere alla tempesta che frantuma ogni speranza.
Imparare a riempire lo spazio vuoto, stringere una fotografia, accettare “l’istante deserto.”
“Nella quotidianità scandita
Del respiro
Perdo l’abitudine del volo
Senza le tue mani.”
L’espressività delle frasi, il ritmo ora concitato ora pacato, le assonanze linguistiche, la ripetizione di un fonema scandiscono lo stile della poetessa.
Casa, vuoto, voragine, buio cercando l’incompiuto, il frammento mancante per completare il puzzle.
Nella consapevolezza del “provvisorio” costruire una trama che contenga il noi.
“È uno straripare di mondo
Che uguale si ripete
Ignaro
Di noi a occhi chiusi
In un presente con gli argini
Rotti.”
Nella solitudine comprendere “la contrazione”, “il respiro strappato”, “la fede taciuta.”
Un’elegia di infinito amore che non si spegne ma arde sempre più vivace.
“Nel forse di ogni passo
A ridosso del silenzio
Tu mi parli ovunque.”