“Parlare di esistenza pensare resilienza
Nutrirsi per esistere è il modo di persistere
Distogliersi o dissolversi nell’alibi di un vino
È come opacizzare lo specchio del destino.
Ho conosciuto tempi di vento e di evasioni
Di amori e di illusioni e di cortei sonori.”
Le parole hanno cadenze musicali e nella composizione del verso creano assonanze e dissonanze.
Un concerto strano dove quello che conta è il contenuto del testo, la necessità di comunicare.
“Non tutto è dei corpi”, pubblicato da Marcos y Marcos, è un gioco fonetico, la sperimentazione di un linguaggio innovativo.
“Non La allettano i verbi sommersi?
Mi tallonano i versi e i dissesti.”
Nel costrutto delle frasi si ha la sensazione di scalare una montagna, arrivare in cima e sentire il brivido dell’insondabile.
La tensione nell’affacciarsi al Nulla, ritrovarsi “dentro un teatro festoso un atterrito evaso.”
Irreale che si fa tangibile grazie alle visioni oniriche e alla realizzazione di paesaggi che franano e debordano dai confini dello spazio.
“C’è una folla che aspetta
Con coperchi e fucili
Silenziosa ed enigmatica
Non sarà consentito di evitarla.”
Si procede incontrando miraggi, “gentildonne stinte da stoffe a paralumi azzurrochiari”, voci acute che incantano e distraggono.
Giorgio Luzzi cerca quel silenzio interiore che è incontro con il sè ma “il tempo procede tra orologi scompagnati.”
Vorrebbe che i sogni fossero protetti da limpide teche e che i versi si disperdessero nell’aria afosa.
Il tempo è una tagliola che ferisce e distrugge.
Resta la Memoria, eterna Signora a danzare in una notte piena.
“Ma ora prendi fiato
Prova a dimenticare”
Accettare un mondo che ha perso l’Io, un mondo dove girovagare senza meta, cercando di raggiungere “la inquietante unità tra morte e vita”.