“Il mio solo tormento
Il campo di El – Agheila
La prigionia della mia tribù
La lontananza dal mio paese.”
Versi dolorosissimi che ci costringono a fare i conti con la Storia.
Una storia che ci riguarda, sotterrata da un oblio colpevole.
Il campo di concentramento di El – Angheila in Libia fu la vergognosa macchia indelebile del governo fascista.
Leggere “Il mio solo tormento”, pubblicato da Fandango Libri e tradotto Mario Eleno e Manuela Mosè significa accettare di scendere nei labirinti di un passato che non deve essere dimenticato.
Essere consapevoli che quella sofferenza avrebbe potuto essere evitata, comprendere i guasti di un colonialismo selvaggio.
“Il mio solo tormento
La promiscuità nel campo
La ristrettezza dei viveri
E la perdita dei nostri cavalli
sauri dai riflessi bronzei
dolci e valorosi
ineguagliabili nella battaglia”
Non serve la punteggiatura, bastano le parole che si ripetono come una nenia che denuncia e ricorda.
È rimasto solo questo, l’esile voce di un prigioniero.
La nostalgia per i luoghi amati, la rabbia per i troppi uomini che hanno provato a resistere e sono morti, la mortificazione della sottomissione, la perdita della dignità.
Trattati come bestie, costretti a lavori forzati, indeboliti nelle membra ma lucidi, troppo lucidi.
“Il mio solo tormento
Il supplizio inflitto alle nostre figlie
I loro corpi esposti nudi
Giovani sfortunate
Per loro neanche un giorno di tregua”
Rajab Abuhweish unisce i ricordi strazianti con una scrittura cadenzata.
Voce nata nel deserto che urla il vuoto dello spirito.
“Il mio solo tormento
L’impotenza
Il castigo
Di subire la vita
E non di viverla.”
Libro prezioso da far leggere nelle scuole per ricordare che nessuno può impossessarsi della libertà altrui.