L’immaginazione di Marcel Aymé non ha limiti.
Riesce a creare storie surreali costruite alla perfezione dove ogni tassello aggiunge alla fantasia una credibilità che disorienta il lettore.
La sua è una provocazione letteraria, la prova che nel racconto come nella vita tanti imprevisti possono mutare il destino.
A differenza di Queneau, al quale spesso viene paragonato, ha una visione critica della società.
Coglie gli spigoli polverosi e nascosti dell’animo e lo fa mantenendo un discorrere ironico.
“La carta del tempo”, pubblicato da “L’Orma Editore”, non è un “esercizio di stile”, la parola si muove sciolta e la forma diaristica accentua una struttura narrativa aperta a più interpretazioni.
La voce narrante, Jules Flegmon, scopre che il governo “per far fronte alla carestia e ottimizzare il rendimento degli elementi industriosi della popolazione” toglie ogni mese alle “categorie” considerate inutili giorni di vita.
Il protagonista, essendo uno scrittore, è “destinato ad una vita incompleta”.
La trovata geniale dell’autore è l’invenzione di una morte temporanea e nella scelta delle modalità si percepisce un richiamo alla prosa di Perec.
Perché viene consegnata “la carta del tempo” e quali sentimenti scatena?
“L’egoismo umano non sarà mai abbastanza stigmatizzato.”
Emerge un attacco spietato alla società capitalistica che non ha pietà per i soggetti non produttivi e al contempo si fa strada un vizio purtroppo tragicamente attuale.
Non c’è considerazione e spazio per la Cultura, considerata sorellastra da tenere a distanza, pericolosa perché fa pensare.
“La distinzione tra tempo spaziale e tempo vissuto è soltanto una fantasia filosofica.”
Un romanzo metafisico e sociologico, distopico e capace di deformare il reale, paradossale e autentico.
Un invito a specchiarsi nella palude delle proprie reazioni di fronte all’imprevisto.
Se ne scopriranno delle belle.